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Basilica di S. Fedele

Como (CO)

Indirizzo: Piazza San Fedele - Como (CO)

Tipologia generale: architettura religiosa e rituale

Tipologia specifica: chiesa

Configurazione strutturale: Così come parte della facciata, il fianco settentrionale della basilica non è percepibile dall'esterno, a causa dell'addossamento di una serie di edifici di epoche diverse. Sul fianco meridionale, sottoposto a un intervento di isolamento, si scorge chiaramente la muratura dell'abside e il succedersi del doppio ordine di coperture, che con andamento ascensionale conducono lo sguardo al tiburio. Il tiburio, a pianta quadrata, presenta un andamento irregolare. È intonacato, ad eccezione del lato nord-est dove la pietra a vista consente di scorgere la porzione sopraelevata nel 1805. La parte originale, che doveva terminare con una fascia ad archetti, presenta una muratura regolare. La zona absidale, più che la facciata, costituisce l'elemento distinguente della basilica, sia sotto l'aspetto architettonico sia sotto quello scultoreo. Delle tre absidi originarie l'unica rimasta integra è quella centrale.

Epoca di costruzione: sec. X - prima metà sec. XII

Descrizione

La basilica, nel suo complesso, pone anche un'altra questione molto dibattuta, che concerne la forma della sua pianta originaria. Come si è detto, al San Fedele preesisteva una basilica edificata nel V-VI secolo e che, unitamente al battistero di San Giovanni in Atrio e alla chiesa di San Pietro in Atrio, costituiva il complesso cattedrale cittadino. L'impianto dell'odierno San Fedele pare che sia il risultato dell'innesto di una struttura a pianta centrale su un impianto basilicale tradizionale con tre navate e tre absidi.
Studi più recenti, basandosi anche sugli scavi archeologici del 1965-66, che non hanno individuato nessuna fondazione precedente con tracciato diverso dall'attuale, sostengono la seconda ipotesi. In particolare si ritiene che la pianta tricora favorisse, grazie agli ambulacri, il circuito di pellegrinaggio al corpo di san Fedele, conservato ancora sino alla fine del Cinquecento dietro l'altare. Osservando le dimensioni e le caratteristiche strutturali dell'ambulacro, è parso immediato il confronto con la Cappella palatina di Aquisgrana.
Come si è ricordato, le numerose trasformazioni di cui la chiesa è stata oggetto nei secoli hanno mutato le forme originarie, in particolar modo nell'interno, dove è possibile scorgere a fatica le antiche forme romaniche. Varcato il portale principale, lo spazio che accoglie il visitatore è caratterizzato dagli stucchi e dalle forme barocche tra cui spicca la grande volta a botte seicentesca della navata centrale, che ha alterato l'originario rapporto di illuminazione, causando l'otturazione delle finestre che si aprivano sopra i matronei. È sorretta da sei pilastri cruciformi, mentre le due navate laterali sono coperte a crociera nervata. Gli archi di valico fra le navate sono stati liberati dall'intonaco durante i restauri degli anni Novanta del Novecento. Sono a sesto ribassato con una muratura piuttosto irregolare e capitelli tozzi, per lo più a un solo ordine di foglie larghe e piatte. Gli arconi del livello superiore si presentano più alti e slanciati. La parte alta dei matronei, per la qualità formale che la contraddistingue, potrebbe essere attribuita a un'ulteriore campagna edilizia, probabilmente dalla metà del XII secolo, come si evince dalla scelta della volta a crociera rampante che consentiva un maggior passaggio della luce dalle finestre aperte nelle navate laterali alla navata centrale. L'innesto degli ambulacri circolari sulla pianta centrale si verifica all'altezza della quarta campata. Questi presentano una copertura a crociera, che ricade su lesene addossate al paramento murario perimetrale e su pilastri compositi verso l'invaso centrale, e sono ancora sovrastati dal piano dei matronei. Meglio conservata nel suo aspetto originale è l'abside maggiore, caratterizzata a piano terra da una successione di cinque nicchie con arcate a tutto sesto, ai cui angoli sono addossate semicolonne con capitello decorato con foglie larghe e piatte. Al piano superiore si sviluppa una galleria scandita da colonne che danno vita a spazi voltati a botte, i cui archi hanno una raffinata ghiera a conci regolari dall'elegante alternanza cromatica. I capitelli, nonostante alcuni presentino una completa finitura solo nella faccia rivolta ai fedeli, sono molto più curati di quelli del piano sottostante e presentano per lo più una decorazione fitomorfa che ricalca il modello corinzieggiante, con foglie poco aggettanti che fasciano il calato e profonde volute.
Accanto all'absidiola settentrionale è il portale che, per la sua particolare iconografia, è stato oggetto di diversi studi. In marmo di Musso, si presenta cuspidato e sormontato da una cornice modanata con una fila di archetti pensili. Questi ultimi sono in pietra di Moltrasio, come il resto dell'edificio; l'accostamento dei due materiali, a cui si aggiunge il giallo dell'arenaria per i lati del timpano, doveva creare un notevole risalto cromatico, ora non più percepibile per l'annerimento dovuto agli agenti atmosferici.

Notizie storiche

Osservando le dimensioni e le caratteristiche strutturali dell'ambulacro, è parso immediato il confronto con la Cappella palatina di Aquisgrana, di cui il caso comasco ripete fedelmente la morfologia dei sostegni e delle volte, sia al piano terreno che nella galleria superiore. L'imponenza delle volte e soprattutto il paramento murario a blocchi lapidei squadrati indurrebbe a posticiparne la datazione alla prima metà del XII sec.
Al XVI secolo risalgono le due più antiche descrizioni della chiesa, ad opera dello storico Benedetto Giovio e del vescovo Ninguarda. Queste ebbero luogo dopo gli interventi edilizi che rimaneggiarono le forme originarie. In particolare si intervenne sulla facciata e nella zona presbiteriale. Una volta a botte fu gettata sul corpo longitudinale all'inizio del XVII secolo, mentre nel 1621 vennero ultimati gli stucchi dell'abside meridionale. Nel secolo successivo si procedette al rifacimento dell'altare maggiore, fu demolita l'absidiola orientale di destra per costruirvi la sacrestia e rifatto il rosone in facciata, con le finestre che lo affiancavano. Nel 1805 fu sopraelevato il tiburio.
A partire dal 1867 si aprì la grande stagione di restauri che interessarono la basilica e che ebbero il loro promotore in don Serafino Balestra, fautore anche del restauro dell'altra grande basilica comasca, Sant'Abondio. L'intento era quello di "ripristinare" lo stile originario, cioè il romanico, eliminando tutte le modifiche successive, alla ricerca di un edificio più ideale che reale.
Così si sollecitò la realizzazione degli interventi: isolamento della chiesa dagli edifici circostanti; abbassamento del pavimento al livello originario; scrostatura della facciata; rifacimento delle finestre del coro; interventi nelle cappelle laterali con rimozione degli stucchi. I primi lavori riguardarono l'abbassamento del pavimento e il rifacimento dell'abside settentrionale; successivamente si proseguì con le tre finestre del coro (1878), ampliate nel Settecento. Bisognava, secondo il criterio adottato, ricostruirle nella maniera più fedele alle forme originarie, anche se l'aspetto di queste non era precisabile con esattezza. Per analogia con finestre di altri edifici coevi, si preferì l'apertura a strombo.
Nel 1894 l'attenzione si focalizzò sulla cupola, che rischiava il crollo. A sovraintendere alle operazioni è ora l'Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti diretto da Luca Beltrami. Si procede così al rifacimento della copertura del tiburio e alla scrostatura della muratura del tamburo. Pochi anni dopo si intervenne sulla torre campanaria, anch'essa a rischio di crollo.
Le modalità di restauro stilistico vennero adottate anche per la facciata, alla quale si mise mano a partire dal 1914, sempre sotto la guida di Giussani. Essa ricevette un rivestimento murario a conci regolari, che ne sottolineava l'aspetto romanico; gli archetti del sottotetto, prima dipinti, vennero scolpiti, e le falde della porzione centrale vennero inclinate come quelle della navata meridionale. Il rosone cinquecentesco fu mantenuto, mentre vennero tamponate le due grandi finestre laterali. Il porta-le fu ricostruito con arco e lunetta, impiegando però il serpentino verde, materiale del tutto estraneo alla basilica. Gli ultimi interventi risalgono al 1965 quando, attuando un progetto di cui si era già discusso ai tempi del Barelli, si diede inizio al parziale isolamento della parte meridionale della basilica, demolendo alcune porzioni di edifici ad essa addossati. Si resero così visibili i contrafforti della navata minore, si procedette alla ricostruzione delle due lesene centrali dell'abside e alla riapertura, in ciascuna porzione di muratura da queste delimitate, di due monofore. Si intervenne sul tiburio, lasciandone un lato senza intonaco a testimonianza del sopralzo ottocentesco. All'interno fu riportata in luce la muratura del catino dell'absidiola di sinistra e quella degli archi che dividono le navate a piano terra.

Condizione giuridica: proprietà Ente religioso cattolico

Credits

Compilazione: Catalano, Michela (2004)

Aggiornamento: Galli, Maria (2010); Ribaudo, Robert (2013)

Descrizione e notizie storiche: Rurali, Elisabetta

Fotografie: BAMS photo Rodella/ Jaca Book

  Scheda completa SIRBeC (formato PDF)

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