PSICHE (SATIRO SCOPRE UNA NINFA DORMIENTE)

Pippi Giulio detto Giulio Romano; Penni Gianfrancesco detto Fattore (attr.); Rinaldo Mantovano (attr.)

PSICHE (SATIRO SCOPRE UNA NINFA DORMIENTE)

Descrizione

Autore: Pippi Giulio detto Giulio Romano (1499 ca./ 1546), disegnatore; Penni Gianfrancesco detto Fattore (attr.) (1488 ca./ 1528), pittore; Rinaldo Mantovano (attr.) (/ ante 1546), pittore

Cronologia: post 1526 - ca. 1528

Tipologia: pittura

Materia e tecnica: olio su intonaco

Misure: 175 cm x 176 cm

Notizie storico-critiche: Il secondo lacunare ottagonale prospiciente la parete est della camera raffigura Psiche addormentata sotto le fronde di un albero e sorpresa da un satiro. La scena è di controversa interpretazione: secondo la maggior parte della critica (cfr. Belluzzi con bibliografia citata), essa raffigura il momento in cui Psiche, alzata in volo da Zefiro e da lui adagiata "nel cuore di un prato fiorito", si addormenta tranquilla "su questo morbido prato, piacevolmente distesa su un letto d'erba umida di rugiada" (Apuleio, Metamorfosi, V, cap. 1). Così letta, la scena seguirebbe dunque l'ottagono "Psiche trasportata da Zefiro" (secondo lacunare nord) e precederebbe, nella successione degli eventi, il "Pranzo di Psiche nella reggia di Amore" (primo lacunare est), attuando una sorprendente inversione della sequenza narrativa. La presenza di quella che Hartt definisce la figura di Pan assume un valore di contestualizzazione, venendo a personificare il luogo boschivo: d'accordo con tale interpretazione è Signorini, che tuttavia non fa sua la lettura del personaggio silvestre come Pan, vedendovi piuttosto un "satiro di tipo decorativo". Oberhuber legge l'ottagono come "Psiche dormiente nel giardino", e torna a riconoscere nella figura secondaria Pan. Altri interpreti (D'Arco, Verheyen) avanzano invece l'ipotesi che la scena raffiguri un episodio molto successivo della favola, e cioè il momento in cui Psiche, gettatasi in un fiume in preda allo sconforto, è da quest'ultimo gentilmente deposta sulla riva "lussureggiante d'erba": qui il dio Pan, per caso presente, chiama a sé la fanciulla e tenta di consolarla (Apuleio, Metamorfosi, V, cap. 25). Tale ipotesi risulta insostenibile considerando il sonno tranquillo della protagonista e il carattere tutt'altro che consolatorio della seconda figura: un satiro in preda all'eccitazione sessuale alla vista inattesa della bella Psiche. La fanciulla giace distesa ai piedi di un albero con la testa reclinata sulla spalla e le gambe incrociate, in una posa che - ricorda Belluzzi - rielabora il modello dell'Arianna-Cleopatra, statua esposta nel cortile del Belvedere vaticano. Un altro esempio di personale rielaborazione di questo illustre modello scultoreo si ammira, in palazzo Te, nella figura femminile affrescata nella lunetta orientale della Loggia delle Muse. Di particolare interesse anche l'immagine del satiro che, come opportunamente argomentato da Signorini, ricalca il fortunato motivo quattrocentesco del satiro che insidia una ninfa, riproposto anche nell' "Hypnerotomachia Polyphili", testo di ispirazione iconografica per le scene maggiori dipinte sulla parete settentrionale della camera (cfr. Gombrich e Verheyen). L'esibito erotismo della scena ben si addice al tema generale della favola e delle altre storie dipinte nella camera, imperniate su un concetto di amore totalizzante, che trova espressione nel trionfo sensoriale. L'albero al quale Psiche è appoggiata mostra foglie polilobate simile a quelle di una quercia che, lungo il ramo passante orizzontalmente attraverso la composizione, si intrecciano a pampini di vite: di questi ultimi è possibile scorgere con chiarezza le foglie e alcuni grappoli violacei. La luce che, piovendo dall'alto, modella morbidamente il corpo di Psiche e fa emergere dall'oscurità dell'anfratto boschivo la figura selvatica del satiro, illumina la parte inferiore della scena, occupata da un letto erboso punteggiato di fiorellini (il "prato fiorito" del racconto apuleiano). Il dipinto è realizzato a olio su un intonaco di malta finissima, applicato a stuoie di canne intrecciate, a loro volta ancorate al telaio ligneo portante della volta. Ideazione e disegno spettano esclusivamente a Giulio Romano ma l'esecuzione pittorica non è attribuita dalla critica alla mano del maestro: se Hartt ipotizza la mano di Gianfrancesco Penni, Oberhuber sostiene che essa spetti a Rinaldo Mantovano in forza dello stile "piatto e mantegnesco". Come tutte le scene dipinte della volta, anche quella in esame presenta ridipinture (es. panneggio della protagonista), mappate durante le analisi preventive al restauro ICR del 1986. Si sottolinea, in particolare, che il dipinto è stato sottoposto a "saldatura del colore" e, quasi certamente, anche integrazione delle lacune da parte di Dante Berzuini nel secondo decennio del secolo scorso. Tutti i pannelli dipinti della volta presentavano, prima del restauro del 1986, cadute di colore, ridipinture più e meno estese e una patina superficiale bruna: la scelta metodologica attuata dai restauratori ICR è stata quella di rimuovere tale patina ma di conservare i ritocchi dei precedenti interventi, a meno che questi non fossero visibilmente alterati o che non fosse necessario sacrificarli per mettere in opera interventi conservativi.

Collocazione

Mantova (MN), Museo Civico di Palazzo Te

Credits

Compilazione: Marocchi, Giulia (2011)

Aggiornamento: Pisani, Chiara (2011)

  Scheda completa SIRBeC (formato PDF)

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