Atlante storico del ciclismo in Lombardia

Un itinerario

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La storia della bicicletta, prima ‘macchina’ moderna per il trasporto individuale, è in modo inscindibile legata alla storia della città e del territorio: il suo avvento alla fine del XIX secolo, nelle principali aree urbane europee, è contestuale al consolidarsi di una classe imprenditoriale forte, al progressivo sviluppo della produzione industriale di beni di consumo di massa e al verificarsi dei primi fenomeni di inurbamento di popolazioni che ancora vivevano in contesti sostanzialmente rurali.

La bicicletta contribuisce alla trasformazione della città, divenendo il primo mezzo in grado di supportare la pratica del pendolarismo lavorativo e contribuisce anche alla parziale ridefinizione della tradizionale dicotomia città-campagna, perché rende gli ambiti rurali esterni ai centri abitati dei luoghi più accessibili per le attività del tempo libero di una moltitudine di cittadini.
Milano e la Lombardia divengono da subito uno degli epicentri europei per la commercializzazione e la produzione, artigianale e industriale, di cicli e biciclette.

In questo periodo di fermento tecnologico, economico e sociale, nasce il ciclismo come pratica sportiva: l’ebbrezza della velocità sperimentabile attraverso l’uso del mezzo a pedali spinge le persone, ovunque, a sfidarsi in competizioni di abilità e resistenza.

A Milano, dove già si erano organizzate competizioni per ‘velocipedi’ (cicli privi di catena, caratterizzati da una grande ruota anteriore direttamente azionata dai pedali) lungo percorsi urbani, come il “Giro dei Bastioni” (1870), su ‘piste’ normalmente adibite alle competizioni ippiche, come il Trotter, o su lunghe percorrenze, come la prima Milano-Torino del 1876, nascono le prime grandi corse ciclistiche italiane.

Il Novecento è agli albori e la rapida evoluzione tecnologica del mezzo a pedali ha già portato alla diffusione della bicicletta per come la conosciamo oggi: un mezzo dotato di due ruote di uguale dimensione, in cui lo sforzo del ciclista viene trasmesso dai pedali alla ruota posteriore per mezzo di una catena. Nel capoluogo lombardo, così come in Francia e in Belgio, sono i giornalisti e i grandi quotidiani dell’epoca a recepire la crescente passione popolare per le sfide tra ciclisti, divenendo ideatori e organizzatori delle più importanti competizioni.

Tullo Morgagni, Armando Cougnet e il quotidiano milanese La Gazzetta dello Sport sono le figure fondamentali per la nascita delle grandi corse italiane e lombarde ancora oggi disputate. Nel 1905 viene organizzata la prima edizione del Giro di Lombardia (oggi denominato ufficialmente “Il Lombardia”); nel 1907 nasce la celebre corsa Milano-Sanremo; nel 1909 prende il via da Milano la prima edizione del Giro d’Italia, corsa a tappe organizzata da La Gazzetta dello Sport sul modello del Tour de France inaugurato nel 1903.

Le tre corse ‘inventate’ a Milano divengono subito il palcoscenico per le sfide tra i migliori ciclisti italiani e stranieri dell’epoca e tali resteranno fino ai giorni d’oggi, ripetendosi anno dopo anno salvo brevi interruzioni dovute agli eventi bellici della prima e della seconda guerra mondiale; di lì a poco, altre corse celebri nasceranno nel territorio lombardo.
Grazie al fiorire delle grandi competizioni, organizzate e raccontate dai giornali dell’epoca, il ciclismo agonistico si afferma in Europa come il primo sport compiutamente ‘moderno’, è infatti l’attività ludico-sportiva in cui si costruisce, per la prima volta, il rapporto sinergico tra sport e media, ma anche il rapporto tra ricerca e sviluppo nei processi di produzione artigianale/industriale di beni destinati al mercato e la sperimentazione sul campo, da parte dei ciclisti impegnati nelle corse, delle innovazioni tecniche introdotte sui mezzi.

Le aziende lombarde svolgono da subito un ruolo fondamentale, in questo tipo di evoluzione, dando vita a celebri marchi ancora oggi presenti sul mercato internazionale della bicicletta: Bianchi, Atala, Legnano, ecc.

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Bicicletta da corsa Bianchi. Si tratta della bicicletta con cui il ciclista francese Petit Breton vinse la prima edizione della Milano-Sanremo nel 1907

Una grande corsa o una tappa del Giro organizzata nei primi anni del Novecento è qualcosa che va oltre le facoltà dell’uomo comune: significa compiere con la bicicletta un ‘viaggio’ impegnativo, che trascende la dimensione della mobilità quotidiana degli abitanti, e significa farlo in una sola giornata, contando solo sulle proprie forze fisiche, percorrendo strade spesso accidentate. I ciclisti diventano così, quasi subito, degli eroi popolari. Se le competizioni iniziano e si concludono in una città, sotto gli occhi degli spettatori presenti, la corsa si sviluppa però nello spazio posto tra partenza e arrivo, il territorio che sfugge alla percezione diretta dei cittadini; lì la corsa diviene un ‘mistero’ la cui soluzione sarà accessibile a tutti solo al momento dell’arrivo dei corridori.

Intorno a questo ‘mistero’ prospera il ruolo dei giornali e dei loro inviati alle corse: raccontare ciò che la massa dei cittadini, dei lettori, non può vedere. Gesta eroiche invisibili ai più, ma raccontate da bravi narratori, trascendono inevitabilmente in una sorta di dimensione ‘epica’. Il supporto su cui si costruisce tale epica è appunto il territorio: il ciclismo inventa percorsi, va alla ricerca di nuove strade per mettere alla prova la forza e l’abilità dei corridori, pone all’attenzione del grande pubblico luoghi e toponimi prima poco conosciuti. I corridori vengono dotati di cartine e altimetrie per conoscere le strade che stanno per affrontare, per poter immaginare l’evoluzione della corsa, per riuscire a gestire i propri sforzi. Gli organizzatori e i giornali pubblicano quelle stesse rappresentazioni per descrivere le gare al grande pubblico. Le grandi corse ciclistiche iniziano a costruire e a divulgare una nuova e diversa ‘geografia’.

Secondo il grande geografo francese Élisée Reclus, morto proprio nell’anno in cui viene disputato il primo Giro di Lombardia, la geografia non sarebbe altro che la storia collocata nello spazio. Nel corso del Novecento, pagine indimenticabili sono state scritte, da giornalisti e letterati, sulla cronaca e sulla storia delle corse ciclistiche organizzate in Lombardia. Pagine capaci di raggiungere l’immaginario collettivo, non solo quello degli appassionati di sport, parlando di campioni, gregari, marchi di biciclette, organizzatori di corse e così via. Ma la peculiare geografia costruita dal ciclismo nel corso di oltre un secolo rischia invece di sfuggire ai più, mentre merita uguale attenzione perché la storia, per tornare alle parole del geografo francese, non è altro che la geografia collocata nel corso del tempo.

A questo mira l’Atlante storico del ciclismo in Lombardia: costruire un ‘percorso’, aperto e aggiornabile, costituito da testi e immagini, capace di descrivere le relazioni spaziali tra i diversi elementi costitutivi della storia e dell’attualità del grande ciclismo agonistico nel territorio lombardo. Un patrimonio culturale fatto di competizioni, campioni, gregari, sponsor, aziende e attività artigianali, testate giornalistiche, pubblicazioni e opere letterarie, narrazioni popolari e memorie condivise, ma anche di strade, paesaggi e luoghi notevoli.

Vedi anche Il Giro d’Italia compie 100 anni

Ultimo aggiornamento: 24 Settembre 2018 [cm]