Lombardia Beni Culturali
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Breve conventionis

1136 novembre 7, Piacenza.

Arduino, vescovo di Piacenza, per ordine dell'imperatore Lotario III e su richiesta di Costantina, badessa del monastero di S. Giulia, si impegna nei confronti di Oddo, gastaldo della badessa, a prendere possesso del porto piacentino, ai fini di difenderlo e mantenerlo ad utilitatem del medesimo monastero.

Originale, ASBs, ASC, Codice Diplomatico Bresciano, busta 5, perg. LXXXVIII [A]. Regesto Astezati, p. 651 (alla data 1136 ottobre 7). Nel verso, di mano del sec. XV-XVI: A b c d (probatio pennae?); annotazioni di epoca moderna, tra cui segnatura Astezati: F fil. 1 n. 2.

Trascizione: ODORICI, Storie Bresciane, V, n. L, p. 98, VI, n. CCXXVI, p. 120.
Cf. ODORICI, Storie Bresciane, IV, p. 246; PALLASTRELLI, Il porto e il ponte del Po, p. 12; SOLMI, Le diete, pp. 82-3; ZIMOLO, Piacenza nella storia della navigazione interna, p. 176; GÜTERBOCK, Piacenzas beziehungen zu Barbarossa, p. 63 (nota 2); RACINE, Plaisance, p. 334; BONFIGLIO DOSIO, Condizioni economiche, pp. 139 (nota 72), 143 (nota 129); MENANT, Campagnes, p. 291 (nota 281).
La pergamena, nonostante qualche macchia di umidità, è in buono stato di conservazione. Rigatura a secco.
La sottoscrizione del vescovo Arduinus è autografa.
Il doc. va letto nel più ampio quadro della controversa vicenda che oppose il monastero di S. Giulia di Brescia, da una parte, e il comune di Piacenza dall'altra, circa la titolarità del possesso del porto piacentino e di alcuni diritti ad esso connessi. Del contenzioso l'archivio monastico ci ha trasmesso un ampio, benché incompleto, dossier composto di una dozzina di pergamene, cui vanno aggiunti una ventina di pezzi raccolti nel Registrum Magnum del comune di Piacenza e alcuni deperditi, di cui è però rimasta menzione (cf. KEHR, Italia pontificia, VI, 1, nn. 15-8). Non tutti saranno compresi nella presente edizione, o perché ne travalicano i limiti temporali o in quanto non ci sono tramandati dal tabularium monastico.
Si colloca forse tra il 760 e il 772, per iniziativa del re Desiderio, la dotazione di diritti regali di pedaggio sul porto e sul ponte del Po, presso Piacenza, al monastero di S. Salvatore di Brescia (poi S. Giulia), di cui era badessa la figlia Anselperga; tuttavia il porto piacentino risulta esplicitamente annoverato tra i possessi del monastero soltanto nel diploma di Lotario I e Ludovico II dell'851 settembre 8 (doc. n. 29). Dalla metà del IX secolo, dunque, l'uso del fiume intorno a Piacenza fu rivendicato da tre utenti diversi: il vescovo di Piacenza, il monastero di S. Salvatore di Brescia e quello di S. Sisto di Piacenza. Il possesso del porto piacentino venne inoltre a più riprese confermato tra i beni del monastero di S. Salvatore anche nei successivi diplomi di Ottone III (998 gennaio 19; doc. n. 59), Enrico III (1048 maggio 2; doc. n. 73) ed Enrico IV (1085 novembre 9; doc. n. 88).
Negli anni Trenta del XII secolo, il conte palatino Guglielmo di Lomello, approfittanto della confusione di confini prodotta dall'esondazione del Po a Sanguineto nel 1085, con il pretesto di salvaguardare i diritti del cenobio bresciano, usurpò con la forza il possesso del porto. L'imperatore Lotario III, accogliendo allora le richieste della badessa Costantina, impose, nel 1136 ottobre 9, al conte Guglielmo la restituzione del porto, condannandolo pro iniusta e violenta usurpatione al pagamento di centocinquanta lire quale risarcimento per i redditi non riscossi (cf. doc. n. 121). Nell'archivio del monastero si conserva, inoltre, un secondo esemplare di questo diploma - mutilo di parte dell'escatocollo - che differisce dal precedente nel passo con cui vengono diffidati il vescovo e i cittadini di Piacenza dal vessare i possedimenti del monastero bresciano (Ad quem portum prefatę retinendum et in perpetuum conservandum ecclesię nostra imperiali auctoritate sub debito nostrę bonę voluntatis precipiendo iubemus quatinus episcopus Placentinus qui pro tempore in ibi preerit nennon et cives universi, si quis eum subtrahere vel inquietare presumpserit, fideliter elaborent, cf. ivi, p. 158). Circa la genuinità di questo documento sono stati avanzati di recente ragionevoli dubbi; l'occasione per l'allestimento dello spurium potrebbe essere collocata in età federiciana, contestualmente al tentativo da parte del monastero di S. Giulia di recuperare e tutelare quei beni che la distanza e alcuni frangenti politici rendevano di non facile controllo.
Un mese più tardi - il 7 novembre del 1136 - il vescovo di Piacenza, Arduino, su incarico dell'imperatorre Lotario III, si assunse l'incarico di difendere il porto piacentino con i diritti connessi e di vegliare sugli interessi del monastero. In seguito al pronunciamento imperiale e all'intervento diretto del vescovo, nel 1139 aprile 29, i consoli di Piacenza concessero ad Ardengo, prete e messo di S. Giulia, quanto del porto piacentino vantavano di possedere alcuni cittadini di Piacenza - Guinizo Palastrellus, Rolando Angoxola e Giordano de Puteo - per conto della contessa Gluzulina (doc. n. 127).
La complessità della situazione creatasi emerge chiaramente dalle testimonianze rese alla presenza di Giovanni, vescovo di Piacenza, chiamato nel 1149 a definire una vertenza sorta tra alcuni cives, concessionari del portus portatorius, e il monastero di S. Giulia, titolare del portus placentinus, in merito ai confini dei due approdi (cf. Il Registrum Magnum, I, p. 186, n. 90). Sentiti i testimoni, secondo i quali gli unici ad avere diritti sulle acque del Po erano il vescovo della città e il monastero di S. Sisto, il presule determinò i confini del porto piacentino e, sebbene lo limitasse a bucca mortui in sursum, il monastero di S. Giulia riuscì ancora a conservare i suoi diritti (doc. n. 142). La sentenza fu comunque tutt'altro che definitiva e la questione si protrasse ancora per lungo tempo.
Dalla metà del XII secolo anche il Comune di Piacenza iniziò ad avanzare con maggior decisione le proprie pretese, dando vita a una lunga controversia con il nostro monastero circa il possesso del porto piacentino, provocando l'intervento pontificio e imperiale. Dapprima papa Anastasio IV (cf. KEHR, Italia Pontificia, VI, 1, n. 15) e successivamente Adriano IV (cf. KEHR, Italia Pontificia, VI, 1, n. 19) ribadirono i confini del porto che spettava al monastero di S. Giulia e intimarono, sotto pena di scomunica, ai piacentini di porre fine alle usurpazioni. L'intervento del pontefice favorì una nuova conciliazione: nel luglio del 1157 i consoli di Piacenza, Fulco Strictus e Boso Balbus, si impegnarono nei confronti della badessa Richelda nella difesa delle navi che si trovavano nel porto e del porto stesso; venne inoltre stabilito che il porto piacentino fosse tenuto in comune dai consoli e dal monastero e che due addetti, eletti dalle parti, ne riscuotessero i proventi da dividere a metà (cf. doc. n. 161).
I piacentini decisero pertanto di ricorrere all'imperatore Federico I, che nel 1163 concesse al Comune i diritti regali sulle acque del Po - compreso il diritto di perpecipire un pedaggio sul ponte - a patto che ogni anno, nel giorno di s. Martino, fossero versate al monastero di S. Giulia venti lire di denari milanesi, tratte dai redditi del porto (Ea propter omnibus imperii nostri fidelibus tam futuris quam presentibus volumus esse cognitum quod nos Richildi, abbatisse Sanctę Iulię de Brixia, suisque sororibus tam futuris quam presentibus, monasticam vitam professis, pro recompensatione portus, quem olim apud Placentiam habere solebant, concedimus, damus et, perpetua largitione, tradimus .XXti. libras Mediolanensium denariorum in festo sancti Martini annuatim solvendas ex illo reditu, qui de ponte in posterum poterit provenire, cf. doc. n. 174). Malgrado ciò, in data 1173 ottobre 17, con un nuovo rescritto, papa Alessandro III decretò che il possesso del porto piacentino e del relativo pedaggio spettasse a S. Giulia, delegando l'arcivescovo di Milano, Galdino della Sala, a mediare un nuovo accordo tra le parti (PFLUGK-HARTTUNG, Acta pontificia inedita, III, n. 250, pp. 244-45). Galdino, sentiti alcuni testimoni prodotti dalle parti, ordinò ai consoli di Piacenza di versare al monastero una tassa annuale di venti lire per i ponte e il porto; inoltre li condannò al pagamento, entro quattro mesi, di cento lire di moneta milanese per gli anni precedenti in cui il Comune aveva esercitato i suoi diritti sul porto (doc. 1174 maggio 21, Milano; ASBs, ASC, Codice Diplomatico Bresciano, busta 6, perg. CXII). La sentenza, nonostante ribadisse l'obbligo del pagamento a S. Giulia di un canone annuo, di fatto assegnava il possesso del porto al comune di Piacenza.
Nel giugno del 1183, in occasione della pace di Costanza, l'imperatore Federico I riconobbe nuovamente al comune di Piacenza la titolarità del porto e dei diritti di pedaggio, a patto che continuasse a versare al cenobio bresciano il consueto canone (Pactiones timore nostro vel per impressionem nuntiorum nostrorum facte pro infectis habeantur, nec pro eis aliquid exigatur, puta Placentinorum, scilicet pactum pontis Padi et fictum eiusdem pontis et regalium et datum et pactum quod episcopus Hugo fecit de Castro Arcuato et si qua alia similia sunt facta ab ipso episcopo vel a communi vel ab aliis de societate nobiscum vel nuntio nostro, ipso ponte remanente cum omnibus suis utilitatibus Placentinis, ita tamen quod teneantur semper solvere fictum abbatisse Sancte Iulie de Brixia, et si que sunt similes, cf. MGH, D F. I, n. 848, p. 73). Nonostante l'anno seguente (1184 agosto 17) papa Lucio III riconfermasse al monastero di S. Giulia il possesso del porto piacentino (cf. KEHR, Italia Pontificia, VI, 1, n. 27), alla fine del XII secolo la questione volgeva ormai decisamente in favore del Comune.
Sulla vicenda e sulle fasi successive, si vedano: PALLASTRELLI, Il porto e il ponte del Po presso Piacenza, pp. 9-38; SOLMI, Le diete imperiali di Roncaglia e la navigazione del Po presso Piacenza, pp. 74-86; ZIMOLO, Piacenza nella storia della navigazione interna, pp. 167-84; GÜTERBOCK, Piacenzas beziehungen zu Barbarossa auf grund des rechtsstreits um den besitz des poübergangs, pp. 62-111; RACINE, Plaisance du Xème a la fin du XIIIème siecle, I, pp. 333-40; ZANINONI, Ponti, guadi, porti. I diritti d'acqua del monastero di S. Sisto di Piacenza tra XII e XVI secolo, pp. 251-53.
Indizione settembrina.

(SN) Die sabati qui est septimus dies mensis nove(m)bris. In civitate Placencia, in pala|cium episcopi. In presencia eorum hominum quorum nomina subter leguntur, donnus Arduinus (1), | episcopus episcopio Sancte Placentine Ecclesie, pro amore Dei et precepto inperatoris | Lotharii (2) et rogatu donne Constantine, abbatise monasterii Sancte Iulie | de Brixia, per misos suos, suscepit portum Placentinum cum omni iure et usu | ad illum pertinentem, ut defenderet et conservaret ad (a) utilitatem predicti | monasterii, donec predicta abbatisa vel colegium prefate (b) ecclesie voluerit; ad hanc | quoque convencionem confirmandam predictus episcopus, quod supra dictum est, totum (c) bona | fide facere Oddoni gastaldio predicte abbatise stipulanti promisit (d). | Inde factum est hoc anno ab incarnac(ione) domini nostri Iesu Christi millesimo | centesimo trigesimo sexto, s(upra)s(crip)to die, indic(ione) quintadecima (e).
Ego Arduinus episcopus s(ub)s(cripsi).
Ibi fuer(unt) testes Prandus et Milo de Lavellolongo et Albertus filius eius, | Gandulfus et Ribaldus de Cario, Agino filius Aginonis Clerici et Gerardus filius | eius, et alii plures.
(SN) Ego Ugo notarius sacri palacii ibi fui et hoc breve per rogacionem | predicti episcopi scripsi.


(a) -d corr. su altra lettera principiata, come pare.
(b) p(re)fate nell'interlineo.
(c) -o- corr. da altra lettera principiata, forse u.
(d) Segue I, anticipazione della parola successiva, non annullata.
(e) q- corr. su altre lettere, come pare.

(1) Arduino, abate di S. Savino, vescovo di Piacenza dal 1121 al 1147: SCHWARTZ, Die Besetzung, p. 195; cf. anche GAMS, p. 745; RACINE, La chiesa piacentina, p. 370.
(2) Doc. n. 121.

Edizione a cura di Gianmarco Cossandi
Codifica a cura di Gianmarco Cossandi

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